Il miele nella storia di Calabria

Le cosiddette api sociali che conosciamo oggi, quelle che lavorano insieme come un organismo collettivo sarebbero comparse tra i 20 e i 10 milioni di anni fa.
L’uomo avrebbe iniziato a utilizzare il miele all’incirca nello stesso periodo, e i primi ad allevare le api sono stati gli Egizi, che praticavano l’arte dell’apicoltura lungo il delta del Nilo.
Nell’Antichità il miele era largamente conosciuto e utilizzato: i Greci lo consideravano cibo degli dèi (Aristotele lo definisce, nel suo trattato De Generatione Animalium, una sostanza “che cade dall’aria”): nella mitologia era Melissa, figlia del Re di Creta, a nutrire Zeus proprio con questo alimento.

I Romani lo usavamo nella preparazione di dolci, birre e idromele (una bevanda prodotta dalla fermentazione del miele diluito in acqua).
È però durante il Medioevo, con Carlo Magno, che l’apicoltura ha fatto il vero salto di qualità. Secondo un editto del 759 d.C., infatti, chiunque detenesse un podere era obbligato ad avere anche delle api e preparare miele e idromele. I conventi e le abbazie divennero in questi anni un importante centro di sviluppo delle tecniche apistiche.
Oggi il suo utilizzo è stato riscoperto come dolcificante alternativo allo zucchero, anche per le sue infinite varietà e proprietà.

Il miele calabro è un prodotto naturale e biologico e le api trasformano il nettare dei fiori, lo immagazzinano e lo lasciano maturare negli appositi favi dell’alveare, gli apicoltori calabresi in pieno rispetto dell’ambiente e delle proprie api svolgono questa attività in questa storia del miele di Calabria millenaria che affonda le radici nella Magna Grecia.

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